mercoledì 23 gennaio 2008

«Occhio: la Svizzera non è piú un paese rifugio»
Appena si torna a parlare di aumentare le cosiddette tasse su Bot, la prima obiezione è che ciò provocherebbe una fuga di capitali all’estero. Lo stesso Oscar Giannino, il direttore di Libero Mercato, ha evocato tale eventualità. Anzi, più precisamente, ha invitato “chiunque possa, a informarsi su come tornare a investire in Svizzera”, rifugio per antonomasia dalle vessazioni del fisco, vere o pretese che siano. Fornirò quindi alcune informazioni al riguardo, senza però toccare neppure di striscio la questione se sia giusto, auspicabile, utile ecc. un aumento dell’aliquota sulle rendite finanziarie dall’attuale 12,5% al 20%, combinata o meno con una riduzione allo stesso livello del 27% ora in vigore per i depositi a vista (conti correnti, Conto Arancio ecc.), alcuni titoli a breve, titoli atipici ecc. Non solo non entrerò nel merito nell’opportunità di un tale provvedimento tributario, ma prescinderò anche da ogni considerazione di natura etica o civica, prendendo atto che molti risparmiatori e/o ereditieri non hanno nessun ritegno a violare qualunque legge italiana o estera, se pensano che gli convenga. Alcuni anzi giudicano fessi quanti si preoccupano di rispettare le leggi o, addirittura, di agire secondo criteri morali. Ma basta essere spregiudicati, amorali e avidi, per decidere di trasferire i propri soldi in Svizzera a fronte del paventato aumento dell’imposta? Forse no.
Un po’ di storia. Merita ripercorrere brevemente i principali periodi in cui vi furono flussi clandestini di capitale dall’Italia verso l’estero e in particolare la Svizzera. Negli anni ’30 avvenne per le leggi razziali, negli anni ’60 per paura dell’avvento del comunismo e da metà degli anni ’70 per circa un decennio per i timori di un crac del sistema finanziario italiano. Non vi fu invece nessuna significativa fuga di capitali nel 1986 con la tassazione dei titoli pubblici, né nel 1998 con l’imposta sui capital gain. Ciò conferma che non è la fiscalità sugli investimenti che ha spinto o spingerà capitali oltre confine. Da oltre vent’anni a questa parte i soldi espatriano di nascosto sostanzialmente se di provenienza criminale (droga, corruzione…) o evasiva, cioè se si tratta di guadagni in nero. Più di rado per aggirare norme sulle eredità o per timore di sequestri giudiziari.
Tutto di nascosto. Prendiamo ora il nostro povero investitore che si ribella a un aumento del 7,5% delle imposte sui suoi investimenti finanziari. Tanto per avere un’idea dell’ordine di grandezza del problema, per un meschinello con un milione di euro in Bot sarebbe un aggravio nell’ordine di 200 euro al mese. In effetti ci sarebbe una soluzione bell’e pronta: affidarsi al risparmio gestito. Da anni i fondi comuni rendono in media quasi nulla: uno 0,75% annuo da metà 1998 che si riduce ancora, defalcando commissioni d’ingresso, di uscita e di switch. Così anche lo Stato rapace ha poco da mordere e ci guadagnano solo le banche, i promotori finanziari, i gestori ecc. Ma torniamo alla Svizzera. Come portarvi i propri soldi? È possibile spostarli alla luce del sole, ovvero tramite la cosiddetta canalizzazione bancaria, che significa dare disposizione a una banca di trasferirli. In tal caso non c’è poi alternativa sensata all’inserimento dei relativi redditi nella dichiarazioni (quadro RW). Essi verranno tassati esattamente quanto in Italia, con la complicazione del regime cosiddetto della dichiarazione, perché le banche estere non prelevano quanto spetta al fisco, come fa una depositaria (banca, sim ecc.) italiana. Quindi tale soluzione può interessare chi voglia appoggiarsi a una banca svizzera perché la crede più efficiente, più sicura ecc. ma non a fini di evasione fiscale. L’alternativa è trasferire i capitali in Svizzera clandestinamente. Servendosi di una società, ciò può realizzarsi con soprafatturazioni o sottofatturazioni, compiendo opportuni falsi in bilancio, che ovviamente presentano alcuni rischi. Oppure può avvenire in contanti, ma grossi prelievi in contanti possono essere segnalati e comunque per professionisti e imprenditori in caso di accertamento c’è la presunzione che siano redditi. Che risulterebbero evasi.
Aliquote più alte. Ma ammettiamo anche che uno trovi il modo di farla franca. I capitali che aveva in Italia li ha portati in Svizzera o a Montecarlo ecc. Che cosa ha risolto? Poco o niente. Infatti per cominciare attualmente la ritenuta sugli interessi su un conto cifrato di un italiano a Chiasso, Lugano, Losanna, nello stesso Lichtenstein ecc. è più alta che in patria, perché dal luglio 2005 è del 15%. Ma dal luglio 2008 e quindi fra pochi mesi salirà al 20%. Ciò vale anche ad esempio per Montecarlo, dove però sono maggiori rischi di essere scoperti. Bisogna quindi che le cosiddette tasse sui Bot vengano alzate in fretta e così magari per cinque mesi risparmia il 5% su base annua. Per la nostra formichina con un milione di euro da parte - e ora dall’altra parte del confine - è un risparmio di circa 700 euro complessivi. Un po’ pochi, se ne ha pagati per esempio 10 mila a uno spallone per trasferire i soldi.
Per la precisione occorre dire che la Legge Federale che ha recepito l’accordo del 26-10-2004 fra la Confederazione Svizzera e la Comunità Europea (Loi sur la fiscalità de l’épargne, LfisE; FF 2004 6744; RS 641.91) prevede eccezioni sino a fine 2010 per i titoli cosiddetti grandfather. Ma un normale investitore difficilmente sa sfruttarle e la banca estera ha convenienza a fargli comprare altra roba. Comunque da metà 2011 la ritenuta sugli interessi di un conto cifrato (e clandestino) di un italiano salirà al 35%. È invece molto probabile che in Italia non andrà oltre quel livello e anzi magari si fermerà al 20%, sempre che ci arrivi. Il peggio però deve ancora arrivare: sono i costi d’investimento che oltre confine sono molto maggiori, tanto che un italiano ci rimetterebbe anche se venisse raddoppiata l’attuale aliquota (12,5%).
Costi iperbolici. Dalle pagine web al Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino è scaricabile un file per confrontare gli oneri complessivi, imposte e commissioni, variando a piacimento le ipotesi. Il colmo sono le spese dette di custodia e amministrazione: un conto titoli di due milioni di euro viene alleggerito in Svizzera di oltre 5 mila euro l’anno per il solo fatto di esistere. Invece in Italia l’addebito massimo è nell’ordine dei 200 euro. Né lo svantaggio percentuale si riduce per un conto piccolo, su cui incidono molto minimi annui e costi fissi, quali le commissioni per la cifra, il fermo posta ecc.
La tabella riporta i numeri che si ottengono per un conto obbligazionario tutto sommato poco movimentato. Il confronto è concentrato sul reddito fisso e abbiamo considerato i prezzi per esempio del Credito Svizzero e dell’Unione di Banche Svizzere (UBS), con commissioni per le compravendite di titoli e il cambio di valuta dal doppio al sestuplo che in Italia. A ciò possono aggiungersi altri balzelli, quale uno sconcertante 2% sulle cedole incassate.
Per le azioni ci sarebbe il vantaggio dell’assenza dell’imposta sui guadagni di borsa (capital gain) per i titoli non italiani, che però è facilmente vanificata dalle massacranti spese di intermediazione. Passare dalle azioni Volkswagen alle Ford può costare il 4%. Quindi una convenienza c’è solo con pochissima movimentazione e azioni che salgono molto.
Fondizzare il cliente. Un’alterativa all’acquisto diretto di obbligazioni o azioni sarebbe il risparmio gestito. Peccato che oltre frontiera i fondi comini siano gestiti anche peggio che in Italia, il che è tutto dire. E comunque le banche elvetiche sono brave ancor più brave delle italiane a guadagnare sulle spalle dei clienti. Né sono inferiori le pressioni esercitate sui funzionari di banche perché rifilino ai clienti fondi, gestioni, titoli strutturati e polizze vita. Si nota solo una peculiarità linguistica, l’uso del verbo “fondizzare” che nel gergo bancario ticinese significa “mettere tutto in fondi”. Per di più una banca svizzera sa benissimo che in pratica non rischia cause, per quante ne combini, perché il cliente teme di uscire allo scoperto. Nessuna associazione di consumatori verrà poi a sindacare cosa capita a conti di cittadini esteri.
Soluzioni esotiche. Ai titolari dei conti cifrati non piccoli vengono prospettate soluzioni che permetterebbero di evitare le imposte sugli interessi. Il conto viene trasferito a una società costituita all’uopo, domiciliata per esempio a Panama e intestata a un uomo di paglia. Così il problema sarebbe risolto. Contrariamente però alla versione ufficiale, che raccontano ai loro clienti i funzionari delle banche svizzere, si tratta di un marchingegno pericoloso, che richiede una buona dose di coraggio o di incompetenza. Il prestanome centroamericano potrebbe infatti rilevarsi più spregiudicato del previsto e avvalersi a suo vantaggio dei poteri che ha, in quanto amministratore della società.
Né può stare tranquillo chi fa domiciliare il suo conto a Singapore, che non offre certo le garanzie di stabilità politica della Confederazione Elvetica. È poi imprudente mandare in giro per il mondo i relativi documenti, dati anagrafici compresi, aumentando così il pericolo di subire ricatti. A voler fare i furbi, può capitare di imbattersi in qualcuno ancora più furbo. Insomma, uno deve decidere se preferisce correre tutti questi rischi oppure pagare un po’ più di tasse.

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